DanteDì: il contributo di Luisa Marchini
È impossibile separare, in Dante, il sentimento religioso dalla lucida analisi e sistemazione teologica, dal gusto intellettuale per le vaste sintesi scolastiche. Per quanto non si possa considerare l’Alighieri un filosofo o un teologo in senso stretto, è innegabile che la sua mente restò sempre affascinata dalle sottili speculazioni sui grandi problemi di Dio, dell’universo e dell’uomo che travagliavano l’anima medievale.
La religiosità che traspare dal poema è pertanto strettamente condizionata dalla pre comprensione intellettuale, latamente aristotelico-scolastica, dalla mirabile sintesi cosmologica che integra Dio e i cieli in un armonioso disegno, persino dalla scienza curiosamente deduttiva (si pensi al problema delle macchie lunari). Non si troverà evidentemente nella Commedia un sentimento del tutto moderno dell’infinitezza di Dio in quanto essere radicalmente diverso e trascendente rispetto all’ordine naturale e finito, né il brivido sensuoso del rapporto mistico, come annullamento dell’animo nella nonché obscura del divino; né il senso umano della paternità amorosa del Creatore o la fraternità dolente del Cristo; e neppure il turbamento o l’angoscia problematica che fu del Petrarca: in Dante la fede è soprattutto verità e luce, goduta nel suo saldo possesso in forme chiare e definite, ardua ma sublime conquista intellettuale. Il Dio di Dante è sempre mediato dagli attributi teologici di una tradizione veneranda e indiscutibile: è il Dio motore immobile la cui gloria penetra e risplende per l’universo e il cui mistero di sovrumana potenza annichila quasi la creatura, fissandola in un atto di totale venerazione; è un Dio lontanissimo (un punto luminoso, un triplice cerchio), privo di ogni connotazione umana, astratto e astrale, la cui presenza è rivelata dall’ordine, dalla legge, dalla ragione intrinseca dell’universo. Anche il sentimento eristico di Dante non palpita per l’umana vicenda del Gesù evangelico; lo affascina piuttosto il Verbo della Sapienza, la luce che dall’alto inonda le schiere del Paradiso in un trionfo maestoso.
La povertà, che il poeta riscopre nel Cristo, è soprattutto un dato teologico-polemico di matrice spirituale e si risolve in un’affilata arma di contestazione ecclesiale. Il falegname di Nazareth è inconcepibile in una teologia del Cristo-re.
L’anima di Dante è invece commossa dal mistero della resurrezione dei corpi (Par., XIV) e dal culto più attingibile della Vergine’ la cui funzione misericordiosa e mediatrice viene in parte a colmare l’abisso incommensurabile fra Dio e gli uomini.
Questi aspetti della spiritualità dantesca ci fanno comprendere meglio l’inestricabile nesso teologico-sentimentale che caratterizza la struttura religiosa della Commedia, in cui sono fuse coerentemente le tre componenti principali della tradizione cristiana medievale: il misticismo, l’ascetismo e il messianismo apocalittico.
L’esperienza mistica offre a Dante soprattutto il modello dell’itinerarium mentis in Deum e una materia di temi, di immagini e di forme verbali facilmente riscontrabili nel poema; ma essa non si traduce in una rinuncia alle operazioni intellettuali, in una passività puramente contemplativa e visionaria. Più forte è l’istanza messianica, per il suo urgente appello morale alla conversione degli spiriti e degli istituti religiosi; di qui il rilievo corrosivo del pauperismo nell’esemplare esperienza di San Francesco, ma anche l’accurata repulsa delle innovazioni dogmatiche gioachimite (l’età dello Spirito Santo, il superamento della Chiesa, ‘il Vangelo eterno ecc.).
Il Petrocchi ha opportunamente sottolineato l’importanza della componente ascetica nell’assetto religioso della Commedia, precisando come il raptus del protagonista implichi la sua attiva collaborazione attraverso vari gradi o « esercizi » di auto-perfezionamento. È stato citato lo schema di San Tommaso che prevede tre fasi ascetiche rispettivamente riservate ai « principianti », ai «progredienti» e ai « perfetti le quali corrispondono alla coscienza del peccato, alla virtuosa purgazione e alla finale identificazione con Dio.
Il modello sembra corrispondere ai tre momenti dell’itinerarium, per quanto è soprattutto nel Purgatorio che Dante si sottopone a un’evidente pratica ascetico-penitenziale.
Nel Paradiso la componente ascetica si esprime particolarmente nella condizione di distacco dalle insensate cure del mondo, che riveste sempre più i colori negativi di una precisa tradizione medievale, pur senza identificarsi nella spiritualità esasperata del contemptus mundi.
« La Commedia — osserva l’Auerbach — è un poema enciclopedico didascalico, in cui è presentato nel suo insieme tutto l’ordine universale fisico- cosmologico, etico e storico-politico; essa è inoltre un’opera d’arte imitatrice della realtà, in cui s’affacciano tutte le possibili regioni del reale: passato e presente, sublime grandezza e spregevole bassezza, storia e leggenda, tragedia e commedia, uomini e paesi; ed è finalmente la storia dell’evoluzione e della salvezza d’un uomo singolo, di Dante, e come tale una figurazione della salvezza dell’umanità. In essa appaiono figure dell’antica mitologia, talvolta, ma non sempre, fantasticamente demonizzate; personificazioni allegoriche e animali simbolici originanti dalla tarda antichità e dal Medioevo; angeli, santi e beati del mondo cristiano, come portatori d’una significazione; vi appaiono Apollo, Lucifero e Cristo, la Fortuna e Madonna Povertà, Medusa come emblema dei più profondi cerchi infernali e Catone uticense come guardiano del Purgatorio. Però, entro la cornice dell’aspirazione allo stile illustre, nulla di tutto questo è più nuovo e più problematico che quel dar di piglio immediato alla realtà attuale della vita, che non è realtà scelta e preordinata secondo regole estetiche; e di qui nascono poi anche tutte quelle immediate forme di linguaggio, inusitate nello stile illustre, la cui asprezza scandalizzò il gusto classicistico.
E tutto questo realismo non è che si muova dentro un’azione unica, bensì un’infinità di azioni, nelle più diverse gradazioni ditono, si muovono e s’intersecano tra loro ».
Tanta vastità di materia non può evidentemente essere costretta nei rigorosi limiti di uno stile letterariamente codificato; donde la difficoltà avvertita dai critici più sensibili, di caratterizzare lo stile di Dante come « sublime » o « comico ».
Difficoltà non diversa dalle più o meno plausibili spiegazioni del titolo del libro, Comedìa, che si scontrano con la più esaustiva definizione di “Poema Sacro al quale ha posto mano e cielo e terra”
Giustamente il Costantini ha opposto il plurilinguismo dantesco al monolinguismo del Petrarca poi codificato nella tradizione aulica della nostra lirica “alta”.
Il plurilinguismo di dante è “poliglotta degli stili e dei generi letterari “
Dalla trattatistica scolastica alla didascalica, dalla lirica tragica a quella umile. È compresenza di strati lessicali-tonali e incessante sperimentalismo.
Luisa Marchini